Il PRI, coscienza critica del Paese

In un contesto in cui tutti i partiti cambiano simboli e ideologie, il PRI continua con coerenza a mantenere il suo ruolo di coscienza critica del Paese. Perciò, al di là dei voti e delle tessere, il PRI continua a essere un punto di riferimento per un'area di opinione laica, liberale, filo-occidentale e riformatrice. Storicamente, abbiamo sempre dialogato con i grandi partiti di massa, stimolandoli a perseguire obiettivi realmente utili al progresso del Paese. Continueremo a farlo anche in futuro, senza avere paura di dire verità scomode.

Un congresso nazionale è un momento importante per discutere del presente, e soprattutto del futuro, di un partito. Prima di tutto, credo, dovremmo spendere qualche minuto sulla nostra storia, che può offrirci numerosi spunti di riflessione. Diciamolo con franchezza. Il PRI non è un partito come gli altri. È il più antico partito politico italiano, costituito ufficialmente nel 1895, e l'unico ad aver sempre mantenuto lo stesso nome, lo stesso simbolo, e gli stessi principi ispiratori derivati dal pensiero di Mazzini e di Cattaneo. Un caso unico di coerenza, in un panorama in cui tutti i partiti cambiano casacca, rinnegano le proprie origini e tentano di impadronirsi delle ispirazioni altrui.

Non siamo numerosi, è vero, ma in realtà non lo siamo mai stati. Non siamo mai stati un partito di massa, anche perché non siamo mai stati interessati al potere in quanto tale, e non abbiamo mai accettato compromessi tali da snaturare la nostra identità. La nostra missione è sempre stata dare voce alla parte laica e progressista della società civile, con una particolare attenzione alle dinamiche economiche, all'equità sociale e ai grandi temi della politica internazionale.

Abbiamo sempre incarnato il ruolo di coscienza critica del Paese, avendo anche il coraggio di sostenere scelte difficili o impopolari, quando siamo stati convinti che l'interesse generale lo richiedesse. Pensiamo alla nota aggiuntiva di La Malfa, assolutamente in controtendenza rispetto alle idee dominanti allora, o all'importante lavoro svolto da Visentini sul piano fiscale. Certo, il PRI ha sempre dedicato un'attenzione particolare ai ceti produttivi, ma non si è mai appiattito in modo miope sulla rappresentanza di un ceto o di una fascia sociale. Ha sempre messo in primo piano le esigenze generali del Paese, sforzandosi di osservare i fenomeni sociali, politici ed economici con lungimiranza. La lucidità della nota aggiuntiva di Ugo La Malfa – nella quale il leader repubblicano chiedeva maggiori investimenti in infrastrutture, formazione e ricerca in un’epoca in cui l’attenzione era concentrata solo sui consumi – resta per noi motivo di orgoglio.

Fin dall'inizio, abbiamo compiuto una scelta di campo a favore delle democrazie liberali: una scelta che abbiamo mantenuto attraverso due guerre mondiali e per tutto il periodo della guerra fredda, sostenendo con decisione la nascita dell'Europa comunitaria e l'impegno internazionale dell'Italia. Ricordiamo l'impegno determinante di Sforza per la Comunità Europea e per l'adesione dell'Italia alla NATO. Ricordiamo la missione in Libano del 1982, sotto la responsabilità del ministro della Difesa Spadolini. La filosofia dell'equidistanza non ci appartiene: siamo abituati a schierarci, a dichiarare con chiarezza da che parte stanno i valori in cui crediamo.

Allo stesso modo, non ci appartiene la cultura della subalternità. Abbiamo sempre dialogato con i grandi partiti di massa, abbiamo stretto alleanze e condiviso obiettivi con altre forze politiche. Ma siamo anche sempre stati pronti a ritirarci dalle coalizioni, quando abbiamo avuto il sospetto che quegli obiettivi avessero cessato di essere comuni. Non abbiamo mai accettato di mettere sullo stesso piano le idee e i voti, non abbiamo mai ceduto alla tentazione della popolarità o della visibilità fine a se stessa. E proprio per questo motivo, credo, siamo sempre stati un punto di riferimento per le coscienze migliori del Paese, assumendoci la rappresentanza di un elettorato laico e progressista che ha sempre guardato con interesse al PRI.

L’Europa

L'Europa è sempre stata un orizzonte di riferimento fondamentale per i repubblicani. Già lo era nel pensiero mazziniano, e oggi a maggior ragione. Come giustamente afferma Annemie Neyts, presidente del partito ELDR, l'Europa è il più bel cantiere politico della storia dell'umanità, l'unico esempio di unione liberamente scelta da 27 nazioni sulla base di valori fondanti forti: libertà, democrazia, norme di diritto, rispetto dei diritti umani, mercato economico e solidarietà. Sono valori in cui ci riconosciamo pienamente, e che vorremmo vedere attuati con sempre maggior coerenza in Europa, in Italia e in ogni parte del mondo.

Oggi è molto di moda parlare (anche impropriamente) di liberalizzazioni, definirsi liberali. Tanto che il senso stesso del termine tende a svuotarsi di significato. Il concetto di liberalismo sembra essere entrato a far parte della vulgata politically correct corrente: tutti sono liberali (a partire dai pentiti del marxismo). Come tutti sono pacifisti, garantisti, ambientalisti, rispettosi delle minoranze, ecc. Insomma, anche il concetto di liberalismo sembra avviarsi a diventare un’etichetta passepartout. Cosa che certamente non può fare piacere a chi, invece, si sente autenticamente liberale. Liberalismo non significa automaticamente deregulation: significa, di base, rifiutare l’idea che lo stato debba intervenire sul mercato come attore economico esercitando un ruolo di imprenditore e modificando a suo piacimento il gioco della libera concorrenza.

Ciò detto, resta evidente che il liberalismo non punta all’estinzione dello stato. Anzi, intende valorizzarlo: da un lato come garante delle regole, e dall’altro come fornitore di tutti quei servizi che, per loro natura, non sono privatizzabili. Del resto è ovvio che nel contesto della dialettica politica le posizioni si definiscono anche in rapporto alle condizioni storiche. Trent’anni fa parlare di liberalismo voleva dire opporsi allo statalismo dilagante. Oggi, vuol dire richiamare gli organi dello stato al loro ruolo di garanti super partes. Questa è la visione del liberalismo che l'ELDR auspica per l'Europa: le parole chiave sono uguaglianza di opportunità, lotta alle discriminazioni, economia di mercato nel rispetto di precise regole sociali e ambientali, priorità al sistema educativo, libera circolazione dei lavoratori. Con un grande obiettivo di fondo: il raggiungimento di migliori livelli di benessere e di libertà per tutti.

Il ruolo del PRI

Le brevi note esposte fino ad ora ci conducono a interrogarci, inevitabilmente, sul ruolo presente e futuro del PRI. Molti di noi avvertono i limiti dell'attuale bipolarismo all'italiana. Di per sé, il bipolarismo è un fenomeno che investe molte democrazie: per limitarci alle più mature e consolidate, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ma in certa misura anche la Francia. Sarebbe superficiale e limitativo definirlo come una tendenza in assoluto negativa. Il vero difetto del bipolarismo italiano consiste nel non essere davvero basato su visioni contrapposte del Paese (tutti, a parole, sono democratici, liberisti, progressisti), ma su personalismi poco pertinenti e poco rilevanti. Che si traducono nella prassi concreta, per effetto dei veti incrociati, in comportamenti incerti o discutibili. Da questo, soprattutto, immagino, deriva il fastidio di molti amici che vorrebbero far saltare questa logica e riportare il dibattito politico sulle cose che contano realmente. È un'esigenza legittima e condivisibile.

D'altra parte, in questo momento, sarebbe oggettivamente difficile, per un partito come il nostro, immaginare di poter creare una reale alternativa a questa situazione senza creare l'impressione di essersi ritirati sull'Aventino. Abbiamo visto che, nel corso della sua storia, il PRI ha sempre svolto il suo ruolo dialogando e confrontandosi con le altre forze politiche. E in questo modo abbiamo conseguito risultati importanti: abbiamo contribuito a modernizzare il Paese, a rendere la nostra democrazia più matura, a consolidare ed estendere molti diritti civili. Dobbiamo, evidentemente, continuare su questa strada, elaborando proposte d'alto profilo che possano essere un punto d'aggregazione per le forze politiche più vicine a noi. Non in un'ottica di subalternità, evidentemente, ma in un quadro di riconoscimento di pari dignità, se non altro a livello intellettuale e politico.

Le contraddizioni e le difficoltà dei due poli sono sotto gli occhi di tutti. Le debolezze della maggioranza sono così evidenti che non vale la pena di parlarne: vediamo tutti le due anime del centrosinistra perseguire obiettivi sempre più divergenti e confusi, con preoccupanti concessioni a un'ala massimalista che impone pesantissimi dazi alle componenti riformiste dell'Unione, peraltro divise tra loro su questioni fondamentali come i diritti civili e la famiglia. Giovanni Spadolini diceva che il PRI è un albero con il tronco al centro e i rami a sinistra. Ma alludeva a una sinistra molto diversa dall'attuale.

Più che alle parole, credo, dovremmo badare ai fatti. Iniziando da quelli che hanno la rilevanza obiettiva maggiore. La politica estera, il quadro delle alleanze internazionali, è ciò che definisce un paese agli occhi del mondo. Forse potremmo partire da qui per definire - o ridefinire - la nostra collocazione. Come ha ben detto il segretario Nucara, questo governo e questa maggioranza stanno danneggiando seriamente la credibilità dell'Italia sul piano internazionale.

La dottrina del multilateralismo elaborata dalla Farnesina - forse più per tenere insieme la coalizione di governo che per intima convinzione - ha poco senso nella situazione attuale, non ha un reale valore costruttivo e può solo creare diffidenza nei nostri confronti da parte dei nostri alleati storici. E agli interrogativi sull'Afghanistan, enfatizzati dagli eventi degli ultimi giorni e dalle polemiche che hanno accompagnato il rilascio di Mastrogiacomo, si aggiungono in prospettiva quelli sul Libano. Il PRI ha sempre avuto una posizione chiara sul quadro politico internazionale, e non può tollerare scelte ambigue su questo punto. Possiamo discutere con i nostri alleati, naturalmente. Possiamo criticare alcune scelte dell'amministrazione Bush, possiamo non condividerne altre: è una libertà alla quale non rinunciamo e non rinunceremo. Ma non possiamo mettere gli Stati Uniti sullo stesso piano dei talebani o considerarci equidistanti tra Israele e gli hezbollah. La nostra coscienza e la nostra intelligenza si ribellano.

In conclusione…

Il PRI ha ancora delle chances? Abbiamo ancora modo di incidere concretamente sulla politica italiana? Io credo di sì, e sono certo che i fatti mi daranno ragione. Mi permetto di rievocare una vicenda personale: la storia di come, dopo 13 anni di assenza, il PRI è tornato a Palazzo Marino. È una vicenda per molti aspetti emblematica. A Milano, i repubblicani hanno raccolto l’esigenza, presente tra i cittadini, di portare avanti un’iniziativa politica nuova. Abbiamo speso molte energie per verificare l’ipotesi di una federazione laica tra PRI, PLI e Riformatori Liberali.

È stata un’esperienza positiva, anche perché ci ha permesso di verificare che eravamo riusciti a intercettare le aspettative di una parte importante della cittadinanza. Ma all’avvicinarsi della scadenza elettorale, purtroppo, abbiamo dovuto constatare che i nostri compagni di viaggio nutrivano notevoli incertezze. A quel punto abbiamo dovuto fare a nostra volta delle scelte. Ci siamo confrontati, abbiamo valutato diverse possibilità. E alla fine, d’accordo con Francesco Nucara, abbiamo ritenuto che la scelta migliore fosse accogliere l’invito di Forza Italia e presentare, all’interno della lista azzurra, una candidatura come indipendente. A parte l’ospitalità, Forza Italia non ci ha offerto alcun sostegno, né in termini organizzativi, né, soprattutto, in termini di voti. Ciò nonostante, dopo aver fatto una campagna elettorale sostenuta solo dagli sforzi e dal calore degli amici repubblicani, sono stato eletto.

Cosa significa tutto questo? Certamente il voto a nostro favore non è un voto clientelare, e neppure un voto ideologico: non lo è mai stato. Siamo premiati da un voto d’opinione: in altri termini, dalle persone che ci vedono come una forza politica in grado di interpretare i grandi valori laici e liberali: l’idea di una società in cui a prevalere siano gli individui con le loro libertà, le loro responsabilità e i loro meriti; l’idea di una società basata sul rifiuto di ogni costrizione sociale imposta dall’alto; l’idea di un paese ancorato, anche nelle scelte politiche internazionali, ai valori della propria identità occidentale.

Non possiamo focalizzarci sul fatto che abbiamo poche tessere e viverlo come un problema fondamentale. Non fa parte della nostra storia. Dobbiamo piuttosto soffermarci sul fatto che esistono comunque – a dispetto dei politologi e della loro scarsa considerazione per i partiti minori – cittadini che credono nei repubblicani e che vogliono il PRI all’interno delle istituzioni. Perché la presenza del PRI rappresenta per loro una garanzia. Anche per rispetto nei confronti di questi elettori, per assicurare maggior visibilità alla nostra presenza e al nostro operato, dopo l’elezione ho scelto di staccarmi dal gruppo di Forza Italia per aderire al gruppo misto.

La specificità di un partito d’opinione è la sua capacità di aggregare consenso indipendentemente dal numero degli iscritti. Perché un partito d’opinione ha un’audience rapportata alla qualità delle sue proposte politiche, e non alla quantità delle tessere che può schierare. La nostra forza sono le idee, e su questo dobbiamo continuare a lavorare. Ho appena detto che l’edera ha rappresentato molto nella storia del nostro paese, e lo ribadisco. Ma questo deve costituire per tutti noi uno stimolo, non una rendita di posizione. Le grandi figure di pensatori e statisti che stanno alle nostre spalle - Mazzini, Cattaneo, Carlo Sforza, Ugo La Malfa, Giovanni Spadolini - ci rendono orgogliosi, ma ci caricano anche di una grande responsabilità. Dobbiamo continuare il lavoro che hanno iniziato, portare avanti le loro idee, mantenendoci fedeli ai nostri punti fermi pur operando in un contesto politico e sociale mutato.

Non possiamo fermarci alla quotidianità, né concentrarci solo sull’amministrazione dell’esistente, per quanto possa essere un tema complesso. Proprio perché siamo gli eredi di una tradizione intellettuale forte, abbiamo il dovere di guardare un po’ più in là degli altri. Possiamo farlo. Possiamo ancora essere il punto di riferimento di un’area d’opinione molto più ampia del nostro bacino d’iscritti, e un rilievo che, al di là delle percentuali elettorali, può far breccia nella politica, contribuendo a rendere migliore il Paese.