Milano e le coppie di fatto

Indipendentemente da quanto accade o può accadere in sede legislativa nazionale, ritengo che una metropoli come Milano non possa evitare di affrontare l'argomento dei diritti delle coppie di fatto.

Le convivenze, come ognuno di noi può verificare, rappresentano un fenomeno largamente diffuso nella nostra città; di conseguenza, non possiamo esimerci dal prendere una posizione in proposito. E credo che dovremmo farlo con lo spirito di apertura mentale e assenza di pregiudizi che caratterizza Milano.

Un dato è certo: l'eccessiva politicizzazione non ha giovato e non giova alla serenità di un dibattito che dovrebbe riguardare soprattutto le coscienze, dato che verte su questioni delicate come i diritti individuali e le scelte personali.

Certamente, la Costituzione riconosce e tutela in modo specifico la famiglia basata sul matrimonio, ma ciò evidentemente non impedisce di tutelare – in forme diverse – altre tipologie di rapporti interpersonali. Appellarsi al dettato costituzionale per escludere la possibilità di riflettere sulle convivenze è un'argomentazione capziosa.

Personalmente, non credo che gli interventi che possono essere introdotti a favore delle convivenze rappresentino una minaccia o un vulnus all'istituto familiare. Peraltro, non ritengo sia compito del legislatore orientare le scelte dei cittadini in una materia così privata e personale mettendo in piedi un sistema di incentivi o penalizzazioni.

Stiamo parlando di diritti civili individuali. Penso quindi che la legge dovrebbe assumere una posizione neutrale nei confronti delle scelte dei singoli, e limitarsi a rimuovere i vincoli che possono creare discriminazioni.

Mi sembra infine giusto che la discussione esca dagli steccati della confessionalità. Ovviamente, la Chiesa ha il pieno diritto di richiamare i credenti al rispetto della morale cattolica, e ciò non dovrebbe rappresentare motivo di scandalo per i laici. Tuttavia, la legge deve situarsi in una prospettiva tale da garantire tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro convinzioni religiose. Poi, ognuno farà le scelte che reputa giuste.

Naturalmente, questa non è la sede né il momento per esprimere un giudizio di merito sul disegno di legge sui DI.CO. presentato dal governo. I punti discutibili e suscettibili di miglioramento, a nostro avviso abbastanza numerosi, sono emersi ed emergeranno via via nel corso del dibattito parlamentare.

A titolo personale, spero che in Parlamento sia possibile affrontare la questione con lucidità senza lasciarsi influenzare dalle logiche di schieramento. Non penso che questioni così delicate debbano diventare oggetto di prove di forza da parte dei partiti, né che si prestino a venir spettacolarizzate.

Ciò detto, in che modo il Comune di Milano può portare il suo contributo al dibattito in corso?

La regolamentazione dei diritti dei conviventi tocca molteplici punti, dalle successioni alla titolarità dei contratti di locazione, dai permessi di soggiorno per i cittadini extracomunitari alle assegnazioni di alloggi di edilizia pubblica, dalle agevolazioni in materia di lavoro (trasferimenti e avvicinamenti) alle decisioni in caso di malattia o morte del convivente.

Molti di questi temi – pensiamo ad esempio ai criteri di assegnazione delle case popolari o alla diversa disciplina in materia di permessi di soggiorno – vanno a toccare ambiti nei quali il Comune è fortemente coinvolto e che hanno ricadute importanti sulla città.

Ritengo quindi auspicabile che si apra un dibattito ampio anche in seno al Consiglio comunale per esaminare questi temi e stabilire un indirizzo che il Comune possa fare suo.

Non credo che sia una perdita di tempo o un esercizio accademico.

In primo luogo, penso che su argomenti così complessi e sfaccettati non si discuta mai abbastanza: tutti i contributi possono risultare preziosi e ritengo sia nostro dovere, in quanto depositari di un mandato elettivo, farci interpreti anche in questo caso delle aspettative dei cittadini che ci hanno dato fiducia.

Secondariamente, credo che gli indirizzi che possono emergere da un comune come Milano possano risultare importanti anche in sede di esame parlamentare. Specialmente se, come mi auguro, rifletteranno in modo puntuale le istanze della società civile e saranno corredate da un'analisi derivata dalle nostre esperienze amministrative.

Un tema molto dibattuto, tra gli altri, è quello relativo alla modalità di pubblicizzazione delle unioni di fatto. Sono state avanzate varie ipotesi, dalla dichiarazione contestuale di fronte a un notaio o al giudice di pace, per arrivare alla dichiarazione unilaterale comunicata al partner via raccomandata.

Anche su questo argomento il Comune di Milano potrebbe avanzare delle proposte, previa valutazione delle esperienze fatte in altri comuni con il registro delle unioni civili.

Come ripeto, sono convinto che su questioni di questo genere sia necessario un confronto molto ampio e molto aperto che, al di là delle convinzioni personali che ognuno di noi ha, possa aiutare il paese a uscire dalla logica del muro contro muro.
Mai come in questo caso, la comprensione delle ragioni altrui è essenziale.

Concludo ricordando che, al punto in cui siamo, non si tratta più di discutere sull'opportunità di regolare le convivenze. A torto o a ragione, ormai sono state create delle aspettative. Ed è responsabilità della classe politica nel suo insieme non deluderle.